I frammenti di riflessione che compongono Sacro minore riportano nell’orizzonte dell’editoria contemporanea italiana istanze di spiritualità personale che da un po’ di tempo erano parse diradarsi, dando spazio o al gossip a sfondo clericale alla Gänswein oppure a ondate di religiosità di importazione che saccheggiano l’immaginario orientale a scopi dichiarati di self-help. In questo breviario di definizioni sul sacro, il poeta, scrittore e regista Franco Arminio raggiunge profondità non da poco sull’argomento più ricorrente e più evaso di tutta la nostra letteratura, come quando scrive che “sacro è chi sente l’urgenza di allontanarsi da tutto e di avvicinarsi a tutto”.
Certo, Sacro minore sceglie di mettere da parte l’originaria ambiguità del sacro, dal latino sacer, a sua volta proveniente da una radice indoeuropea ancora più oscura, che postulava la convergenza di sacralità e di separazione, di intangibilità e possibile maledizione. Ma anche questo è segno dei tempi: i rapporti ambivalenti tra violenza e sacro, e l’ancor più oscura convergenza tra sessualità e sacrificio, erano oggetto di apprensione misterica in un tempo in cui la religione collettiva e la religiosità individuale avevano ancora il loro peso e la loro pregnanza; adesso, tutto questo è finito, e il mondo, bene o male, nel bene e nel male, si è secolarizzato. Evitando le domande retoriche, evitando anche un certo atteggiamento da laudator temporis acti, il principale pregio di Sacro minore è proprio quello di porre una martellante indagine sul sacro nel cuore e dal cuore della secolarizzazione.